Li hanno bloccati sul più bello. L'olio extra vergine pugliese, "quello tinto con la clorofilla... che è veleno ed è pure cancerogeno", ridevano per telefono, stava per sbarcare negli Stati Uniti. I container pronti, gli acquirenti già trovati: sono arrivati i carabinieri e hanno sequestrato tutto. Intanto però avevano già invaso i piccoli market di Milano e provincia. Ma anche molti negozi in Germania, Svizzera, e per rimanere in Italia, in Toscana, Liguria, Veneto. Il prossimo business era quello dell'Europa dell'est. In un anno e mezzo avevano messo già sul mercato 400 mila lattine di olio contraffatto, cattivo e pericoloso per la salute dell'uomo. "Ma in fondo, noi, mica spacciamo droga. Non facciamo niente di male", si rincuoravano tra loro.
Era una banda organizzata quella dell'olio alla clorofilla, un'"associazione a delinquere" esperta e specializzata, tanto che molti dei componenti sono riconducibili a famiglie della criminalità organizzata. È la mafia di Cerignola (la patria dei caporali del pomodoro), quella radicata nello spaccio di droga e nel commercio di auto rubate. Che, a qualche chilometro di distanza dalla centrale del vino adulterato, aveva messo mano sul grande business della sofisticazione alimentare. E piano piano stava avvelenando l'Italia. Tutti i giorni, a tavola, condendo l'insalata.
A scoprire la banda della 'Mercedes bianca' è stata la procura di Foggia insieme con i carabinieri del Nas di Bari: 39 arresti, quattro famiglie (Pedico, Errico, Sinerchia-Giannatempo e Merra) che, come fossero i mandamenti mafiosi, si erano divisi il territorio, ma condividevano i modi di operare, il business, le tecniche di avvelenamento. Taroccavano l'olio. Poi lo marchiavano con etichette di aziende inesistenti ma dal nome ammiccante (Il Frantoio, La Torre, Le gocce d'oro), con tanto di spiegazione altisonante sul retro ("È olio ottenuto mediante frangitura e sgocciolamento naturale a freddo di olive selezionate"). Lo imbottigliavano. E partendo dalla Puglia o dalla Campania lo caricavano su un furgone Mercedes bianco e con l'aiuto di compaesani emigrati al Nord invadevano i mini-market dell'hinterland milanese e di altre regioni nel Nord.
Il business era enorme: una lattina da cinque litri di olio taroccato costa all'associazione circa 5 euro (comprese le spese di trasporto, le etichette, i contenitori metallici in banda stagnata, i tappi e l'olio di semi). Da quel furgoncino bianco veniva scaricato e venduto nei market del nord Italia come "olio extravergine di oliva" a 20 euro. Il guadagno netto era di oltre il 400 per cento. In 18 mesi, da quando cioè i Nas coordinati dal pubblico ministero Giuseppe Gatti si sono messi sulle tracce della banda, sono state immesse sul mercato un centinaio di tonnellate di prodotto per un giro di affari di quasi 10 milioni di euro. Frutto, come spiega uno degli investigatori, di un marketing criminale: "Un tempo dal Sud arrivava olio sfuso, costava poco, ma era cattivo. Ora invece si truffano i consumatori sfruttando proprio il fatto che l'olio fosse doc, che arrivasse dagli uliveti pugliesi, che fosse fatto come un tempo". Avevano fatto le cose in grande, come si legge sulle etichette pirata: "L'olio prodotto prima del confezionamento viene conservato in recipienti a temperatura costante in assenza di luce e aria", tanto che "potrebbe formarsi un leggero deposito sul fondo. Ciò è dovuto a precipitazioni naturali che non pregiudicano, anzi denotano la genuinità del prodotto". Quel 'deposito sul fondo' in realtà poteva essere muffa. La banda utilizzava la clorofilla in garage lerci a San Ferdinando di Puglia, un paese a pochi chilometri da Foggia. Oppure acquistava "olio proveniente da organismi geneticamente modificati, olio la cui natura ed eventuale non tossicità sono ancora tutte da dimostrare", scrive il gip di Foggia, Lucia Navazio, che ha arrestato le 39 persone.
A leggere le carte, la Procura è arrivata appena in tempo. L'8 giugno 2007 i carabinieri del Nas sequestrano a Pietro Errico - considerato "il capo indiscusso del sodalizio delinquenziale" - 1.680 litri di olio alla clorofilla pronte a partire per gli Stati Uniti. Dicono gli investigatori che si trattava soltanto di un assaggio del nuovo, grande business: dopo aver invaso il nord Italia, aver cominciato a vendere in Svizzera e Germania, era l'America la nuova frontiera. Errico aveva contattato già l'intermediario per la vendita, preparato la prima partita. I container erano pronti all'imbarco quando sono intervenuti e hanno sequestrato tutto i Nas di Taranto, allertati dai colleghi baresi. Il business negli ultimi mesi stava crescendo, e parecchio. Per questo la banda aveva deciso di non fare più tutto in casa ma di rivolgersi a professionisti del settore per produrre etichette e bottiglie, per di più ditte campane. Era proprio dalla provincia di Napoli che partivano i camion Mercedes alla volta del Nord. Le sofisticazioni venivano realizzate però sempre e soltanto in Puglia; a coordinare le operazioni c'era sempre un componente della famiglia e a colorare l'olio provvedeva un gruppo di rumeni, assoldati e istruiti in mesi di addestramento. A volte sbagliavano, però. Tanto che l'estate scorsa un uomo pugliese dell'organizzazione si prese una bella 'cazziata' dai milanesi. Tanti rifornitori si stavano lamentando che "l'olio faceva schifo. Diglielo, altrimenti qua succede il casino. Dovete tagliarlo meglio", come urlava al telefono uno dei rivenditori, ascoltato dai carabinieri.
L'inchiesta nasce proprio da un errore di sofisticazione. Una serie di utenti segnalano ai Nas di Torino la presenza in commercio di olio cattivo. Vengono così ordinate alcune analisi e l'esito non lascia dubbi: non si trattava di extravergine, ma di olio di semi colorato. Le bottiglie sequestrate in Piemonte portano l'etichetta della Cooperativa Agricola Latorre di Andria. La cooperativa però non esiste. Da Torino viene così mandata un'informativa a Bari e gli uomini del comandante Antonio Citarella in due giorni riescono a risalire al centro si smistamento dell'olio taroccato: il 12 dicembre del 2006 sequestrano a Cerignola circa 30 mila etichette di varie aziende olearie inesistenti, tappi, cartoni per imballaggi, attrezzature varie, e 20 chili circa di sostanza scura, presumibilmente clorofilla. "Da quel momento abbiamo cominciato a risalire la piramide", raccontano gli investigatori: "Era come una matrioska, un sistema fittissimo di scatole cinesi: da un'etichetta arrivavamo a un'altra, indagando su un gruppo malavitoso risalivamo a un altro". "Un effetto devastante non soltanto sul piano del danno arrecato ai singoli destinatari del prodotto alimentare", spiega la giudice Navazio di Foggia: "Ma, se possibile, ancora di più all'immagine del mercato dell'olio extra vergine di oliva italiano. Hanno creato etichette ammiccanti per il consumatore per vendere e truffare meglio. Utilizzando il marchio del made in Italy è stata gravemente lesa l'immagine del mercato nazionale del settore, vista la ricerca di canali di commercializzazione del prodotto all'estero". Gli americani se ne facciano una ragione: per l'olio taroccato doc dovranno ancora aspettare un po'.
fonte: espresso.i
PASSIONE Olio
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domenica 9 agosto 2020
Quando l'olio non sa di olio
sabato 8 agosto 2020
Falso Olio extravergine d’oliva: ecco le aziende che non superano i test 12/12/2016
Di truffe sull’olio d’oliva spacciato per extravergine ne abbiamo abbastanza, eppure siamo davanti all’ennesimo inganno: prodotti che promettono una qualità che di fatto non hanno.
Appena un anno fa, vi parlavamo di un ‘registro degli indagati’, ovvero di sette aziende olearie che dovevano rispondere di frode in commercio per aver spacciato un comune olio di categoria 2, meno pregiato e meno costoso, per extravergine d’oliva.
Un circolo vizioso che a quanto pare continua. Durante la trasmissione Patti Chiari, punta di diamante dei consumatori sulla tv svizzera pubblica Rsi, Lorenzo Mammone e Remy Storni hanno denunciato il cosiddetto “scivolone degli extravergini”, ovvero vergini spacciati per extravergini.
LEGGI anche: LA TRUFFA DELL’OLIO D’OLIVA VENDUTO COME EXTRAVERGINE. COME SCEGLIERE QUALE ACQUISTARE?
Ma facciamo un passo indietro. Il mercato dell’olio extravergine è in realtà regolato da norme severissime. Per stabilire se un olio è un extravergine d’oliva esistono vari panel test, ovvero analisi sensoriali e chimiche dell’olio che servono a scoprirne i difetti come il rancido, la muffa e tutti quelli stabiliti dalle linee guida dell’Unione europea, ma anche la piccantezza o l’amarezza.
Affinché un olio venga classificato come un extravergine, secondo la normativa vigente, ‘la meridiana dei difetti deve essere pari a zero e il gusto praticamente perfetto’.
LEGGI anche: OLIO EVO: PROPRIETÀ E TUTTO CIÒ CHE BISOGNA SAPERE SULL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA
Delle 12 bottiglie analizzate dalla trasmissione, sei non hanno superato i test. I campioni sono stati sottoposti a due analisi organolettiche e a una chimica. Gli oli sono stati fatti assaggiare a Zurigo dall’unico panel test svizzero riconosciuto dal Coi, il Comitato oleolicolo internazionale e poi anche dal comitato di assaggio ufficiale dell’olio Dop Chianti in Toscana. I risultati ? Identici.
Indice
Gli oli extravergine che non sono… extravergine
Tra le nostrane troviamo:
Olio De Cecco classico extravergine d’oliva
Definito dal panel come: ‘Un olio rancido e sicuramente non extravergine’.

Olio Carapelli extravergine d’oliva
Il parere del panel: ‘Il difetto principale è il riscaldo quando le olive vengono depositate più del previsto cominciano a fare una fermentazione. La maggior parte delle persone, pensa sia un gusto normale ma invece è un difetto. Non lo metterei nello scaffale’.

Olio Bertolli extravergine d’oliva originale
Per il panel: ‘È fangoso, ammuffito non è extravergine. Un olio difettato, si avverte la fermentazione delle olive, estremamente rancido’.

Nella lista nera c’è poi il meno conosciuto Filippo Berio e due oli non commercializzati in Italia Olivana e M-Budget.
LEGGI anche: OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA: CALORIE, PROPRIETÀ E BENEFICI PER LA SALUTE
Gli oli extravergine che sono… extravergine
A vincere il test, ovvero l’olio veramente extravergine d’oliva come indicato in etichetta è il Sabo 100% Italiano, imbottigliato da un’azienda ticinese e prodotto con materia prima della pugliese Olearia Clemente.
Sul podio anche il Gran Delizia Igp Toscano e il Monini. Risultati ottimi anche per il PrimaDonna venduto da Lidl, il Bio Natur Plus (100% Dop umbro) e il Qualité&Prix della Coop svizzera.
In realtà, anche se questi test promuovono il PrimaDonna venduto da Lidl, ricordiamo che lo scorso giugno l’Antitrust ha condannato la catena di supermercati a pagare una multa di 550 mila euro, per avere venduto olio extravergine con il marchio Primadonna che, secondo l’autorità, conteneva olio vergine di oliva. Tra i difetti riscontati: riscaldo, rancido, muffa e umidità in diverse bottiglie che non potevano essere vendute come extravergine come dichiarato in etichetta.
Dominella Trunfio
venerdì 7 agosto 2020
Le Vitamine
Indizi altalenanti. L'ultimo viene da uno studio inglese ed è che, se sono tante, fanno male, anzi accorciano la vita, specialmente quelle prese con gli integratori alimentari.
Precedentemente si diceva che allungano la vita, specialmente se sono tante e il più convinto assertore di questa teoria è stato Linus Pauling, noto chimico americano precursore della scoperta del DNA (due premi Nobel) che prendeva un grammo di vitamina C al giorno, venti volte più di quello che serve, sostenendo che allungava la vita: e, infatti, è campato fino a 93 anni.
Sotto accusa sono gli integratori alimentari, che in Italia e in Europa sono soggetti alla notifica dell'etichetta al Ministero della Salute. In base al decreto legislativo n. 169/2004, non possono contenere vitamine in quantità illimitate: per esempio, le quantità di vitamina C e vitamina E non possono superare il 300% della dose giornaliera consigliata e la vitamina A il 150%.
Poi ci sono gli "alimenti arricchiti con vitamine e minerali", ugualmente soggetti a preventiva notifica dell'etichetta al Ministero della Salute e transitoriamente sottoposti al decreto legislativo n. 111/1992 (quello sui dietetici), in attesa di una più precisa disciplina europea, in particolare per la definizione dei livelli di vitamine e minerali. La differenza con gli integratori è che questi sono vitamine e minerali artificiali in pillole, mentre gli altri sono normali alimenti addizionati con vitamine e minerali, sempre artificiali, cioè costruiti in laboratorio ricopiando la molecola naturale. Da tempo si discute se le vitamine artificiali sono uguali a quelle naturali, contenute specialmente negli ortofrutticoli.
Dal punto di vista della formula chimica sono uguali, ma questo concetto non va interpretato assolutisticamente o strumentalizzato per giungere alla conclusione che una pillola di vitamina può sostituire una o più porzioni di ortofrutticoli. Un preparato farmaceutico è un prodotto di laboratorio, a composizione nota, costituito da uno o più principi attivi e da un numero variabile di sostanze chimiche -gli eccipienti- aggiunte per vari scopi: conferire forma, consistenza, conservabilità, colore, eventualmente sapore, aroma, solubilità, eccetera. Un frutto (o un ortaggio), invece, è un piccolo mondo biologico, a composizione chimica estremamente complessa (variabile da un campione all'altro, ma sempre entro certi limiti, cosicchè si possono stabilire i valori medi dei principali costituenti), in cui coesistono più vitamine e una apprezzabile quantità di preziosi flavonoidi (e altri polifenoli).
Questi composti organici (che solo da pochi anni sono al centro di moderne ed entusiasmanti ricerche) sono dotati di attività antitossiche, antinfartuali e perfino antitumorali. In particolare, la triade caroteni-vitamina C-flavonoidi rappresenta un valido apparato antiossidante, ossia in grado di proteggere le strutture cellulari dall'attacco dei radicali liberi dell'ossigeno, altamente implicati nel meccanismo di comparsa delle lesioni arteriose, dei tumori e perfino della senescenza.
In altre parole, negli ultimi lustri i prodotti ortofrutticoli sono stati ulteriormente valorizzati: oltre al ruolo vitaminizzante, sono stati messi in risalto i loro meriti extra-nutrizionali, dovuti appunto ai flavonoidi (pigmenti vegetali) e alle fibre vegetali (che tra l'altro contribuiscono a migliorare la peristalsi intestinale. Infine, un altro pregio è che gli ortofrutticoli contengono le giuste quantità di vitamine e non si può eccedere (non si possono mangiare 20 arance al giorno).
Unione Nazionale Consumatori
Tratto da: www.greenplanet.net
giovedì 6 agosto 2020
I codici alimentari
Ti sei mai fermato a leggere un articolo di un giornale che parla di sostanze con nomi illeggibili o addirittura indecifrabili? E951, E221, E513. . . no, non sto dando i numeri, ti elenco solamente alcuni “codici” che potresti trovare sull’etichetta di qualche prodotto che consumi abitualmente non sapendo che potrebbero danneggiarti la salute. Spero che a questo punto tu non abbia rinunciato a leggere il mio articolo. Adesso cercherò di spiegare al meglio perché bisogna fare attenzione a ciò che mangiamo e soprattutto a ciò che diamo da mangiare ai nostri figli. Il primo codice cifrato di cui voglio parlare è E951, così a vederlo sembrerebbe innocuo, vediamo: Aspartame oppure L-alpha-aspartyl-L-phenylalanine-methylester Dolcificante presente nel 90% dei prodotti con dicitura LIGHT o SENZA ZUCCHERO. Questa dicitura viene collocata sulla confezione con orgoglio, a caratteri cubitali in modo che tutti possano vederlo, ben pochi però, dopo che sono stati attratti dalla “leggerezza” del prodotto vanno a verificare qual’è la componente che ha sostituito il vecchio e caro zucchero. L’Aspartame è il dolcificante maggiormente usato nelle bustine che al bar moltissimi usano per dolcificare il caffè, è il dolcificante presente in quasi tutte le gomme da masticare presenti sul mercato, è presente persino nello sciroppo per la tosse che forse (spero di no!) dai a tuo figlio. Ma cerchiamo di capire meglio che cos’è. L’Aspartame è costituito da fenilalanina, acido aspartico e metanolo. Il metanolo, componente dell’aspartame, viene liberato nell’intestino e si trasforma in acido formico e in formaldeide, entrambi questi metaboliti sono tossici. La fenilalanina e l’acido aspartico costituiscono il 90% dell’aspartame e questi aminoacidi, se assunti con l’alimentazione, vengono usati normalmente dal nostro organismo per processi biochimici vitali. Ma quando non sono accompagnati dagli altri amminoacidi diventano neurotossine. L’aspartame si converte cioè in sottoprodotti pericolosi per i quali non esistono contromisure naturali. La quantità di metanolo ingerita grazie all’aspartame è senza precedenti nella storia umana. [1] Nel corso degli anni l’aspartame è stato dimostrato essere dannoso da centinaia di studi, è stato collegato a cecità, problemi neurologici e vascolari, tumori, leucemie, difetti nei neonati e, secondo uno studio recente effettuato dallo scienziato Guadalupe Garcia dell’Università di Queretaro, l’aspartame aumenta notevolmente anche il rischio di aborto. Vorrei però portare alla tua attenzione il secondo studio effettuato dalla Fondazione Europa Ramazzini presentato il 23 aprile 2007 a New York dove il Dottor Soffritti ha ricevuto il Premio Selikoff per i suoi studi sull’aspartame. I risultati della ricerca dimostrano che l’aspartame è cancerogeno anche usato in piccole dosi, causa un aumento significativo di linfomi, leucemie e tumori maligni. A questo punto credo che l’unica domanda da farsi sia perchè questo dolcificante è ancora sul mercato? La risposta credo che sia risaputa. Gli interessi economici delle multinazionali sono ben più importanti della nostra salute. Continuiamo analizzando un altro additivo che troviamo spesso e malvolentieri: Sodio Benzoato Antimicrobico presente nella maionese e nelle bibite analcoliche con meno del 12% di succo (es. coca cola light, fanta, sprite, nestea, ecc) Quando utilizzato in soluzioni acide, il sodio benzoato si converte in acido benzoico, una sostanza particolarmente tossica. Ma la sua pericolosità non finisce qui. Secondo uno studio del professor Peter Piper, del dipartimento di biologia molecolare e biotecnologie dell’Università di Sheffield, il sodio benzoato testato su cellule vive di lieviti distrugge aree del DNA nelle stazioni energetiche cellulari, i mitocondri. Egli ha affermato che questa sostanza provoca danni al DNA mitocondriale, sino ad inattivarlo. I mitocondri consumano ossigeno per produrre energia e se danneggiati, come in alcune patologie, le cellule cominciano a non funzionare correttamente. Questi danni al DNA possono essere collegati a malattie neuro-degenerative come il Morbo di Parkison e provocano decadimento cellulare precoce. Il professor Piper afferma “La mia preoccupazione concerne soprattutto i bambini, che ne sono grandi consumatori”. Come dargli torto, i bambini sono il nostro futuro, se continuiamo ad intossicarli con additivi, coloranti e dolcificanti di dubbia sicurezza (o dimostrata tossicità) si ritroveranno in un mondo di sofferenze causate da tantissime malattie di dubbia provenienza. Ci sarebbero una montagna di documenti da pubblicare su additivi, coloranti e conservati, credo che sia comunque più importante che le persone, come te e come me inizino a leggere la composizione di tutto ciò che si compra al supermercato, magari girando con un “dizionario” codici E – italiano! Puoi trovare un comodo ed utile depliant tascabile sul nostro sito all’indirizzo: Scarica la lista, mettila nel portafogli o nella borsa ed inizia a capire che cosa compri e consumi abitualmente. L’unico modo per migliorare le condizioni delle generazioni future è quello di far capire ai produttori che non siamo più ciechi di fronte allo scaffale del supermercato e non saremo più disposti a comprare prodotti con ingredienti di dubbia sicurezza. Evitiamo i loro prodotti, solo così i produttori ciechi inizieranno di nuovo a vedere.
mercoledì 5 agosto 2020
Il colesterolo non provoca l'infarto, ma è un affare per chi vende farmaci
Finalmente. Il fatto che uno dei tanti megafoni delle finte crisi sanitarie degli ultimi anni - il Corriere della Sera - abbia dedicato lunedì ben due pagine alle bufale degli anni passati è un buon segno. Certo, ci sarebbe piaciuto essere stati meno isolati quando invitavamo a ragionare sui numeri e a non farsi trascinare dall'isteria (pilotata da potenti interessi), quando insomma scrivevamo che non saremmo morti di mucca pazza, né di Sars o di aviaria, ma che sarebbe stato più probabile venire spazzati via da un Suv o morire di rifiuti tossici. Stessa cosa si può dire per l'allarme "bioterrorismo" in nome del quale sono stati elargiti fior di milioni - basti pensare all'epopea dello Spallanzani - per fronteggiare la fantomatica epidemia di antrace rivelatasi, anche quella, una bufala.
Ben vengano le riflessioni su quei cinque-seicento milioni di euro buttati via per prevenire le (false) epidemie in arrivo mentre negli ospedali mancano posti letto e infermieri, ma vediamo come se la cavano i colleghi nello smascherare le bufale di oggi, quelle che continuano a risucchiare fondi e a suscitare paure prive di fondamento. E, se i dati dei nuovi studi verranno confermati, certo quella del colesterolo potrebbe delinearsi come la madre di tutte le bufale.
All'inizio di febbraio è stata infatti resa pubblicata una ricerca che smentisce uno dei dogmi della medicina degli ultimi anni ovvero la stretta correlazione fra colesterolo e infarto. Lo studio Enhance ha dimostrato che due farmaci anticolesterolo (l'ezetimibe che ne inibisce l'assorbimento intestinale e la simvastatina che ne riduce la produzione nel fegato) non apportano alcun beneficio alle nostre arterie. Insomma: anche se i farmaci abbassano il livello di colesterolo presente nel sangue non riducono il rischio di infarto. Lo studio, condotto e finanziato dai produttori dei due farmaci, è stato tenuto nel cassetto per due anni prima di arrivare alla pubblicazione di oggi.
Nel commento del corrispondente della rivista Science Gary Taubes, pubblicato sull'Herald Tribune del 6 febbraio, viene spiegata l'origine dell'equivoco: in sostanza si è sempre confuso il colesterolo con le proteine che lo trasportano, le lipoproteine appunto.
Ma il colesterolo può essere buono a seconda che sia veicolato da lipoproteine a alta densità (Hdl) o a bassa densità (Ldl) e niente dimostra che sia lui il vero nemico visto che l'infarto colpisce anche persone con valori normali. I due farmaci presi in considerazione dallo studio Enhance, infatti, pur abbassando il livello del colesterolo non prevengono affatto la formazione delle placche.
Insomma, dopo anni di disgustosi beveroni, faticose rinunce e culto dei mitici omega 3, viene fuori che il colesterolo alto non fa male: una vera e propria rivoluzione che però, anche se è stata diligentemente riportata da qualche quotidiano nazionale, non ha minimamente interrotto il constante flusso di spot che ci consigliano questo o quel prodotto né, tanto meno, ha suscitato il mea culpa della comunità medica per avere tanto entusiasticamente abbracciato il verbo dell'industria farmaceutica.
Bisogna sottolineare che la stessa cosa accade negli States dove la Food and Drugs Administration, l'ente americano per il controllo delle medicine che alla fin fine detta la linea a tutto il pianeta, continua a registrare farmaci per la prevenzione delle malattie cardiache solo in base al fatto che riducono le lipoproteine che trasportano i grassi nel sangue mentre le autorità sanitarie continuano a condurre campagne di prevenzione mirate alla riduzione del colesterolo.
Gli interessi dell'industria farmaceutica nel settore delle malattie cardiovascolari sono evidenti - basti pensare quanti milioni di pazienti hanno continuato la terapia nei due anni durante i quali lo studio Enhance è stato tenuto in stand-by. In effetti, grazie alle dissennate abitudini alimentari dell'Occidente e all'allarme diligentemente pompato dai media, il mercato dei farmaci anti-colesterolo fa impallidire quello delle finte epidemie: il settore registrava un fatturato di 36 miliardi di dollari già nel 2003 e attualmente più di 40 milioni di statunitensi sono in cura.
Sul Corriere del 7 febbraio scorso Adriana Bazzi scriveva: «Le industrie hanno tutto l'interesse a promuovere l'ipotesi colesterolo, ad allargare la quota di consumatori di farmaci anticolesterolo (lo hanno fatto riducendo sempre di più i livelli normali nel sangue in modo da creare più "malati" come ha già denunciato il British Medical Journal) e a giocare sull'ipotesi colesterolo buono (da aumentare) e cattivo (da ridurre) per proporre nuove molecole dal momento che stanno scadendo i brevetti di quelle vecchie».
Bazzi si riferisce al 2004, quando oltreoceano vennero definite le "nuove linee guida" che crearono, dal nulla, ben 7 milioni di malati in più. Quando scoppiò la polemica venne fuori che ben 6 dei 9 membri che formavano la commissione erano noti per le loro frequentazioni con le case farmaceutiche e si scoprì che l'autore di uno studio relativo ai problemi cardiovascolari era collegato con ben 20 compagnie che producono medicinali e "attrezzature" per il cuore. Conflitto d'interesse? Non scherziamo.
Nel mondo anglosassone il fatto che gli studi sull'efficacia di un farmaco vengano finanziati dal suo stesso produttore non desta scandalo, basta che venga dichiarato pubblicamente. Per sapere come va dalle nostre parti, dove in genere il conflitto d'interesse non viene nemmeno esplicitato, consigliamo la lettura del bellissimo libro scritto da Marco Bobbio nel 2004: "Giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza - Medici e industria".
di Sabina Morandi
lunedì 3 agosto 2020
Cambiamenti climatici ci renderanno più generosi?
In questi giorni il nostro governo non fa altro che parlare del “Pacchetto Clima” e di tutti i problemi di natura economica che potrebbe comportare accettare una simile iniziativa. Combattere il riscaldamento ci farà diventare più poveri? Poveri non si sa, ma sicuramente più generosi, questo almeno secondo uno studio della Yale University che afferma che il caldo influisce sulle persone rendendole maggiormente disponibili verso gli altri.
Lo studio c’entra poco con il cambio climatico e il conseguente riscaldamento globale, mi è comunque sembrato curioso riportare uno dei possibili aspetti che un eventuale aumento delle temperature potrebbe provocare sulle persone. Sembrerebbe infatti che il caldo corporeo aumenti la nostra generosità rendendoci più altruisti e positivi nel giudicare gli altri.
Gli psicologi Lawrence Williams e John Barg hanno coinvolto un gruppo di volontari in alcuni esperimenti il cui contenuto era quello di analizzare i comportamenti delle persone in situazioni di caldo o di freddo. Da queste prove è emerso che i giudizi positivi verso le altre persone e la generosità erano aspetti che aumentavano man mano che i soggetti avevano a che fare con una temperatura più alta. L’esperimento ha fatto ipotizzare che dietro a questo effetto caldo ci sia una regione del cervello deputata ad elaborare le condizioni termiche determinando differenti comportamenti in funzione di queste. Dovessimo avere climi sempre più torridi aspettiamoci perlomeno di vivere in maniera più socievole, magra consolazione verrebbe da dire, ma chissà non possa essere un punto di forza per vivere in maniera sostenibile.
fonte: scienzemag.org
Quando l'olio non sa di olio
Li hanno bloccati sul più bello. L'olio extra vergine pugliese, "quello tinto con la clorofilla... che è veleno ed è pure canceroge...
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Li hanno bloccati sul più bello. L'olio extra vergine pugliese, "quello tinto con la clorofilla... che è veleno ed è pure canceroge...
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DOMINELLA TRUNFIO 12 DICEMBRE 2016 Di truffe sull’olio d’oliva spacciato per extravergine ne abbiamo abbastanza, eppure siamo dava...